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LA RESISTENZA INTRINSECA AGLI ANTIBIOTICI: UNA RISORSA DA SFRUTTARE A NOSTRO VANTAGGIO

Batteri resistenti agli antibiotici: c’è resistenza (acquisita) e resistenza (intrinseca)!

Oggigiorno, la resistenza agli antibiotici è spesso citata come una delle maggiori minacce globali per la salute pubblica. Il fenomeno dell’antimicrobial resistance (AMR) e, in particolare, quello della resistenza agli antibiotici da parte di batteri patogeni rappresenta un problema urgente, come descritto nel nostro approfondimento dedicato (leggi qui). Questa resistenza è una caratteristica acquisita dai batteri, favorita da un uso indiscriminato di antibiotici che seleziona i ceppi resistenti, consentendo loro di proliferare a scapito di quelli sensibili.

Tuttavia, è fondamentale distinguere tra due tipologie di resistenza: la resistenza acquisita e la resistenza intrinseca. Mentre la prima rappresenta una minaccia concreta, la seconda, in determinati contesti, può diventare una risorsa preziosa. Infatti, sfruttare la resistenza intrinseca in ceppi batterici benefici può aiutare a proteggere il microbiota e persino ridurre il consumo di antibiotici, diminuendo il rischio di favorire ulteriormente lo sviluppo della resistenza acquisita.

La resistenza intrinseca più in dettaglio

La resistenza intrinseca è una caratteristica naturale di alcune specie batteriche, che le rende insensibili a determinati antibiotici. Questa peculiarità è legata a proprietà biologiche innate della specie e non è il risultato di mutazioni o trasferimenti genetici. A differenza della resistenza acquisita, quindi, non può essere trasferita ad altri batteri e non contribuisce all’AMR.

Ad esempio, la resistenza intrinseca può derivare da:

  • L’assenza del bersaglio molecolare dell’antibiotico all’interno della cellula. In altre parole, se l’antibiotico agisce su una specifica struttura o funzione del batterio, come la sintesi della parete cellulare, ma il batterio non possiede quella struttura, l’antibiotico diventa inefficace.
  • Una membrana cellulare impermeabile a certe molecole antibiotiche, che impedisce al farmaco di entrare nella cellula batterica per svolgere la sua funzione.


Questa forma di resistenza non rappresenta un pericolo per la salute pubblica se associata a batteri benefici come i probiotici. Al contrario, in questi casi può diventare una risorsa importante per proteggere la salute intestinale.

Perché la resistenza intrinseca non può essere trasferita?

La resistenza intrinseca è propria di determinati ceppi batterici e risulta in essi “isolata” e non trasferibile, poiché i ceppi batterici dotati di questa caratteristica sono privi di plasmidi, che potrebbero trasferire geni di resistenza ad altri batteri.

Ma cosa sono i plasmidi? I plasmidi sono piccole molecole di DNA circolare presenti nei batteri. Sono separati dal DNA cromosomico e contengono geni accessori, come quelli che conferiscono resistenza agli antibiotici. A differenza del DNA cromosomico, i plasmidi possono essere trasferiti tra batteri usando un ponte di connessione noto come pilo. Questo meccanismo è uno dei principali responsabili della diffusione della resistenza acquisita.

Immaginiamo i plasmidi come una “chiavetta USB” contenente istruzioni riservate e illecite che permettono ai batteri, inclusi quelli pericolosi, di organizzarsi per resistere alle misure di contrasto attuate dagli antibiotici. I batteri con resistenza intrinseca e non trasmissibile NON possiedono alcuna “chiavetta USB” e, di conseguenza, non possono diffondere informazioni utili a eludere l’azione degli antibiotici.

Resistenza intrinseca: quindi è sicura?

Se un batterio patogeno possiede una resistenza intrinseca, può rappresentare una sfida clinica. La difficoltà principale sta nell’individuare l’antibiotico appropriato per trattare l’infezione, un processo che può richiedere più tempo e portare a trattamenti più complessi.

Al contrario, quando questa caratteristica è presente in batteri benefici, questi si comportano come ospiti sicuri e rispettosi che non generano alcun scompiglio.

Occorre in ogni caso specificare che la resistenza antibiotica di un ceppo probiotico deve necessariamente essere specifica, cioè, rivolta verso una singola molecola o una classe specifica di molecole antibiotiche. Ceppi con resistenza non specifica o ad ampio spettro sono in conflitto con le normative di sicurezza e non sono commercializzabili.

Un esempio di successo di resistenza intrinseca ad un antibiotico

Un esempio di successo di resistenza intrinseca ad un antibiotico, non trasmissibile, specifica e quindi sicura, è Il Bifidobacterium breve PRL2020, contenuto in Brevicillin®. Questo ceppo possiede una resistenza intrinseca all’amoxicillina e all’amoxicillina/acido clavulanico il cui profilo di sicurezza è stato confemato dall’analisi genomica completa a cui è stato sottoposto. Inoltre, la specie Bifidobacterium breve è inclusa nella lista QPS (Qualified Presumption of Safety) dell’EFSA (European Food Safety Authority), ciò significa che è considerato sicuro per il consumo umano grazie alla sua lunga storia d’uso.

Per di più, la possibilità che il Bifidobacterium breve PRL2020 ha di sopravvivere anche durante la terapia antibiotica con amoxicillina o amoxicillina/acido clavulanico gli consente di agire in modo benefico nelle delicate circostanze indotte dall’uso di questi antibiotici.

Brevicillin®, un approccio sicuro ed efficace

L’utilizzo di probiotici con resistenza intrinseca rappresenta un’opportunità innovativa per supportare la salute intestinale durante le terapie antibiotiche. Quando un probiotico è dotato di una resistenza intrinseca specifica e sicura, come nel caso di Brevicillin®, diventa possibile impiegarlo in concomitanza alla terapia antibiotica per salvaguardare l’equilibrio del nostro microbiota intestinale.

Brevicillin®, grazie alla presenza del Bifidobacterium breve PRL2020, offre un supporto mirato durante le terapie a base di amoxicillina o amoxicillina/acido clavulanico. Questo ceppo, resistente in modo naturale a queste molecole, garantisce numerosi benefici concreti:

  • Salvaguardia del microbiota intestinale: il Bifidobacterium breve PRL2020 sopravvive anche in presenza di antibiotici, continuando a esercitare le sue funzioni benefiche nell’intestino.
  • Riduzione del rischio di disbiosi: il ceppo aiuta a mantenere la biodiversità del microbiota, limitando le alterazioni microbiche e gli effetti collaterali come diarrea, gonfiore o malessere intestinale.
  • Prevenzione della proliferazione di batteri opportunistici: preservando l’equilibrio intestinale, Brevicillin® contrasta il sopravvento di microrganismi patogeni che possono causare infezioni secondarie.
  • Supporto al recupero post-terapia: garantendo un microbiota più stabile durante la terapia, favorisce una ripresa più rapida e completa della flora batterica intestinale al termine del trattamento.


Grazie a queste proprietà, Brevicillin® rappresenta un alleato fondamentale per affrontare le terapie antibiotiche con amoxicillina o amoxicillina/acido clavulanico in modo più sicuro ed efficace. La sua capacità di proteggere il microbiota contribuisce anche a diminuire la necessità di ulteriori interventi terapeutici, favorendo un approccio preventivo e integrato.

In sintesi, l’impiego di un probiotico come Brevicillin® durante la terapia antibiotica è un’innovazione che unisce sicurezza, efficacia e protezione della salute intestinale. In più, contribuisce anche alla lotta globale contro l’AMR, poiché, favorendo un uso ridotto di antibiotici, diminuisce la pressione selettiva esercitata da questi ultimi sui batteri che abitano il nostro organismo.

* Mancabelli L, Mancino W, Lugli GA, Argentini C, Longhi G, Milani C, Viappiani A, Anzalone R, Bernasconi S, van Sinderen D, Ventura M, Turroni F. Amoxicillin-Clavulanic Acid Resistance in the Genus Bifidobacterium. Appl Environ Microbiol. 2021 Mar 11;87(7):e03137-20. doi: 10.1128/AEM.03137-20. PMID: 33483308; PMCID: PMC8091617.